La solitudine altera il cervello

Secondo la saggezza popolare, solo separandosi dal mondo e quindi vivendo in solitudine, in un isola deserta contornata solo dal mare, in montagna nella vetta più alta contornati solo da natura e silenzio è possibile trovare quiete e piacere. Un’idea in parte smentita dalla scienza: diverse ricerche, nel corso degli anni, hanno infatti associato la solitudine, tra le altre cose, a un maggior declino cognitivo e a un più rapido deterioramento dello stato generale di salute. Uno studio pubblicato, mostra che effettivamente la solitudine ‘altera’ il cervello, cambiandone le connessioni e la rappresentazione delle relazioni. Negli scorsi decenni  e ancor di più negli ultimi tempi, quando il lockdown ha imposto un regime di solitudine forzata la comunità scientifica ha esplorato in lungo e in largo il tema, arrivando ai risultati più disparati. Uno studio pubblicato a marzo da parte di un’équipe di scienziati del Massachusetts, per esempio, ha svelato che la solitudine da quarantena scatena nel cervello una sorta di ‘astinenza’ simile a quella provocata dalla fame. Un altro lavoro, pubblicato in tempi meno sospetti sulla Psychological, , ha passato in rassegna e messo insieme i risultati di centinaia di studi sul tema, mostrando che la solitudine è tipicamente associata a depressione, declino cognitivo e maggior rischio di insorgenza di demenza e ipotizzando che possa essere collegata a una disfunzione nei circuiti di ricompensa del cervello. In soggetti non solitari ci sarebbe, una sorta di continuum nella rappresentazione cerebrale di sé stessi e delle persone più intime.Per le persone sole, invece, le cose stanno un po’ diversamente. L’attività cerebrale legata al pensiero di sé è infatti risultata marcatamente diversa rispetto a quella legata al pensiero degli altri. In altre parole, è come se la solitudine fisica fosse legata a una sorta di ‘solitudine’ della rappresentazione cerebrale delle proprie relazioni, che appaiono del tutto scollegate dalla rappresentazione di sé: il cervello percepisce e rappresenta il sé e gli altri come entità staccate, piuttosto che fluide e continue.

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