Quando ci innamoriamo il nostro cervello accresce la produzione di dopamina, noradrenalina e feniletilamina , neurotrasmettitori che inondano il corpo e scatenano reazione fisiologiche, quali il battito cardiaco accelerato, l’aumento di sudorazione, l’euforia, l’eccitazione, l’insonnia e anche… il minore appetito. È proprio la PEA, sostanza chimica con una struttura simile a quella delle anfetamine, che ci riempie di entusiasmo amoroso ma chiude lo stomaco. Non si sa esattamente come questo neurotrasmettitore agisca sull’inibizione della fame, ma la sua “esplosione” nel nostro organismo durante l’innamoramento ci regala moltissima energia ed eccitazione emotiva. A livello biologico, insomma, è tutta questione di chimica. Nella fase iniziale dell’infatuazione, quando si desidera focosamente l’altra persona, senza però che si sia ancora instaurata una relazione a due, l’organismo è inondato dagli ormoni dello stress. È il classico “sfarfallìo” del cuore, che chiunque ha sperimentato di fronte all’uomo o alla donna per cui ci si è presi una cotta, spesso seguito da vampate di calore, viso che arrossisce, mani che sudano. Reazioni repentine, irrefrenabili, spesso persino inaspettate, legate a momenti intensi vissuti insieme alla sospirata dolce metà. E se poi Cupido mette bene a segno le sue frecce, e colpisce dritto al cuore i tremiti lasciano il posto all’euforia: l’amore, ricambiato, è travolgente, folle, smodato. Energia allo stato puro che spazza via il sonno, la fatica e, appunto, la fame. Perché, in un certo senso, è come se ci nutrissimo solo d’amore. E anche Dante, pur non conoscendo la “chimica dell’amore”, è risaputo che soffrì di inappetenza, quando si innamorò di Beatrice.
L’ha ribloggato su Alessandria today.
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