Profumo di mosto, moscerini che si concentrano nelle porte delle cantine. Donne e uomini, giovani e meno giovani che collaborano dalla mattina alla sera, cantando sudati, vestiti da “contadini”, “trafficando” nei campi, facendo la spola tra una cantina e l’altra, tra trattori carrelli cassette e ceste piene di uva. Bambini che lavorano fianco a fianco con i nonni. Queste scene, così famigliari a molti, raccontano di una delle pratiche ancora tanto in uso che molti di noi hanno la fortuna di aver fatto da bambini e di fare ancora oggi, magari assieme ai propri figli: la vendemmia. Un culto, una tradizione che regge agli anni, che resiste alla meccanizzazione e che continua a riunire intere famiglie. La vendemmia altro non è che la raccolta dell’uva quando questa ha raggiunto la piena maturazione. Ma a dirla così è riduttivo, la vendemmia è la vetta di un lavoro durissimo, la sua fase finale, l’ultimo sforzo prima di vedere, di assaggiare il risultato: il vino. La raccolta viene fatta sia per l’uva da tavola che per quella da vino. Il vino, ossia la fase finale della vendemmia, è il frutto, oltre che di un duro lavoro, di una serie di processi chimici molto complessi, come, ad esempio la fermentazione. E per far si che il risultato finale (ossia il vino) sia eccellente è bene seguire scrupolosamente tutti gli aspetti della sua produzione, senza tralasciarne alcuno. Solo così si otterrà un vino di qualità.