Ultimamente il foraging va molto di moda e proliferano anche corsi amatoriali sull’utilizzo di erbe e fiori in cucina. Diverse specie però appaiono anche nei menu di ristoranti, gastronomie e bar senza cognizione di causa. Di recente ho visto delle foto pubblicate sui social network di una gastronomia che descriveva i piatti con nomi botanici di specie in realtà non presenti nel piatto stesso: questa si chiama truffa e può essere davvero fuorviante.Il foraging dà dignità a ingredienti che hanno caratteristiche organolettiche così interessanti da poter sconvolgere un piatto. Non deve essere visto come un trend passeggero o un brillantino da buttare nel concetto dei piatti perché “fa figo”. Quando si utilizzano ingredienti di questo tipo bisognerebbe comunicare anche la vera missione di questa disciplina che è la connessione con l’ambiente che ci circonda.Le tue ricette preferite? Adoro i sapori veri, forti che all’inizio sembrano ostili. Serviamo un brodo con fiori fermentati che sprigionano i propri aromi modificando le caratteristiche che avevano appena raccolti. Oppure il risotto alla rosa cotto nel tè nero fermentato di foglie selvatiche tanniche. E poi le caramelle di acacia, che sprigionano il profumo avvolgente dei fiori freschi e nostri vini di fiori. In cucina, inoltre, possiamo giocare con gli infusi di fiori selvatici: modificando il ph della bevanda cambiamo il colore senza alterarne il gusto.Quali sono le scoperte relative al cibo selvatico ? Tutto il lavoro è fatto di sperimentazioni, scoperte e analisi. Negli ultimi tempi stiamo lavorando sulla commestibilità del legno, andando oltre al concetto di farina di sussistenza che abbiamo già sviluppato con le farine di ghiande, di cortecce interne e di licheni.
L’ha ribloggato su Alessandria today @ Pier Carlo Lava.
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